Storia del Comune
Le origini
Castro dei Volsci è un paese posto nel mezzo della Valle del Sacco, a 100 Km circa da Roma e sulla line ferroviaria Roma – Cassino – Napoli. Il nome, anche se denso di storia, è relativamente recente, risale al 1816, quando il Connestabile Filippo Colonna III rinunciò alla sua giurisdizione sul fondo, prima era Castrum Castri o Castrum S. Petri.
La Valle del Sacco è un luogo denso di storia, teatro di molte vicende sin dal paleolitico superiore.Sono inoltre, molto diffuse le testimonianze del periodo preromano, romano e di epoca alto medievale e medievale.
Il territorio controllato dal borgo di Castro dei Volsci è fertile e caratterizzato da clima ospitale con leggeri declivi e terrazzamenti ed è percorso dal fiume Sacco, importante arteria che dai monti Prenestini attraversa tutta la valle sino alla confluenza con il Liri a sud-est di Ceprano.
Sin dai tempi più remoti proprio il fiume ha rappresentato una fonte di ricchezza per la valle, sia per il sostentamento alimentare che, per le possibilità di trasporto. Lungo il corso naturale del fiume e lungo le vie di comunicazione, che negli anni sono sorte seguendo la sua direttrice, sorgono diversi centri di interesse storico-artistico, le cui vicende storiche e sociali hanno raggiunto, in alcuni casi, momenti di grande valenza monumentale ed artistica, come testimonia ad es. Anagni, Alatri, Ferentino, Frosinone, Ceprano, Castro dei Volsci.
Soffermarsi sulle vicende avvenute in questi luoghi significa davvero ripercorrere la storia dell’uomo dalla preistoria sino ai nostri giorni , passando attraverso le scelte e le abitudini dei diversi popoli che si sono avvicendati su questo scenario, dai popoli Italici ( Ernici e Volsci arroccatisi sui monti che da loro prendono il nome), fino alla conquista romana, allo splendore delle città del medioevo come Anagni, città dei Papi, Ferentino , Veroli , sede delle Diocesi e ai Castra, come Castro dei Volsci, arroccati sulle colline, con il borgo circondato da imponenti cinte murarie.
Storicamente Castro dei Volsci , fu interessato dall’espansione dei Volsci a partire dal V-IV sec. a.C. Essi arrivarono nella valle del Sacco attraverso la valle di Roveto , dilagando lungo le vie fluviali , fino a raggiungere il mare attraverso la valle dell’Amaseno .
Con la conquista romana , molte colonie vennero dedotte in questa valle fertile, in cui si snoda l’asse viario principale di epoca romana, costituito dalla via Latina, che collegava Roma con l’Italia Meridionale con un percorso diretto ed agevole, attraversando proprio il territorio di Castro dei Volsci e collegando anche i vari centri posti a destra e a sinistra del fiume Sacco.
Nelle vicende storiche della valle, Castro proprio per la sua centralità, si inserisce sin dalla preistoria con rinvenimenti di età paleolitica, databili all’industria litica di 700.000 anni fa. Il periodo volsco è testimoniato dai resti del circuito in opera poligonale di “ Monte Nero”.
La conquista romana è attestata dai numerosi siti archeologici denunciati sul territorio, tra di essi il primo studiato ed edito è proprio quello del Casale, che testimonia il vissuto nell’area dall’età repubblicana all’alto medioevo.
E’ proprio questo sito che fa di Castro dei Volsci un centro di notevole importanza archeologica ben oltre i confini locali. L’interpretazione delle strutture portate in luce, denuncia l’abbandono del sito nel IX sec. d. C. , quando per il fenomeno legato all’incastellamento, la comunità del Casale si sposta sulla
rocca di Castro dei Volsci, che da quel momento nasce come borgo medievale .
Il periodo che va dall‘anno 1000 al 1816, vede il paese di Castro dei Volsci legato alle alterne vicende politiche delle varie famiglie nobiliari a cui fu affidata come castellania, pur rimanendo patrimonialmente appartenente alla Chiesa romana , come rocca con particolari funzioni strategiche nella provincia di Campagna.
Nel periodo in cui trionfava l’ideale teocratico e si stava operando una profonda riorganizzazione del dominio temporale della Chiesa , Castro per la sua posizione di confine, a cavallo tra Stato Pontificio e Regno di Napoli, rientra nelle “ munitiones” che i vari Papi cercavano di mantenere “ ad manus suas”, attraverso fidati castellani.
L’abitato era sorto nelle vicinanze del monastero di S.Nicola, edificato dai Benedettini nell’anno 1000, in seguito per scopi difensivi l’abitato fu circondato da una cinta muraria che permetteva l’accesso alla rocca attraverso tre porte più esterne.: Porta della Valle, Porta di Ferro, Porta dell’Ulivo ed al cuore della città attraverso la Porta dell’Orologio, la quarta e più interna.
Numerosi furono gli attacchi subiti, sin dal 1165, anno in cui la rocca fu assaltata dalle truppe del Barbarossa, sino a tutto l’800 con le scorrerie legate al brigantaggio.
Oggi sono visitabili sia la chiesa di S.Nicola con affreschi del Vecchio e del Nuovo Testamento del XI sec. , sia le quattro porte con la relativa cinta muraria , ma anche molto di più si può ammirare passeggiando per il centro storico, ad es. botteghe medievali, vicoli caratteristici, figure apotropaiche, passatempi scolpiti nella roccia ecc…
Importante fortezza a difesa dello Stato Pontificio, vede passare al suo governo personaggi di rilievo dell’ amministrazione papale sino al 1409, anno in cui per la prima volta compare la famiglia Colonna.
Anche per questo periodo le sorti del paese sono alterne e legate alle
burrascose vicende dello scisma d’Occidente. Alessandro V “ Papa Conciliare” era osteggiato da Ladislao Re di Napoli, che era appoggiato dalla famiglia dei Colonna di Palestrina. Alessandro V, volendo portare dalla sua parte i Colonna di Genzano concede loro la castellania di Castro.
Da questo momento le vicende di Castro sono legate a quelle della famiglia Colonna, che vede tra le sue fila, papi, cardinali e personaggi molto potenti e molto osteggiati. Si passa da una esaltazione del loro potere con Martino V ad una serie di persecuzioni familiari con le proscrizioni di Alessandro VI , Paolo III e
Paolo IV, che addirittura confischerà il borgo ai Colonna, provocando la reazione dei cittadini che erano affezionati al loro signore.
La pace venne restaurata da Marcantonio Colonna, con la vittoria di Lepanto (1562). Fino al 1798 il feudo rimane alla primogenitura della famiglia Colonna, nel 1816, la stessa famiglia rinunciò alla giurisdizione sul fondo.
La prima metà del ‘900 , vede il paese interessato dalle due guerre mondiali , di cui la seconda vissuta più da vicino, poiché oltre alle milizie fornite , anche la popolazione civile fu coinvolta essendo il fornte di Cassino a pochi chilometri dal paese.
Il sacrificio di molte vite umane è rimasto consegnato alla storia da diversi monumenti commemorativi presenti a Castro ed in tutta la zona.
Castro dei Volsci oggi
Oggi Castro dei Volsci è un tranquillo paese inserito nella provincia di Frosinone con poco più di 5000 abitanti.
Circondato dalla natura che in alcuni casi si conserva ancora incontaminata, contraddistinto da un centro storico su una estrema propagine dei monti Ausoni ed un centro economico-commerciale, moderno, sorto nella pianura sottostante.
Negli anni ’70 il Ministero della Pubblica Istruzione lo ha riconosciuto
come “ zona di notevole interesse pubblico” perché raccoglie punti pubblici di bel vedere di eccezionale importanza panoramica, ed inoltre il centro storico forma un complesso di notevole valore estetico tradizionale.
Dagli spalti dell’antica rocca è possibile ammirare uno scenario vario e suggestivo. Nelle giornate nebbiose sembra di trovarsi sulla tolda di una nave, sotto un mare grigio da cui affiorano come isolette le cime dei colli e degli altri paesi sparsi all’interno della valle.
Con il cielo limpido si può godere a pieno di tutto il paesaggio da Palestrina sino a Monte Cassino.
Nelle serate estive poi, la valle sembra un tappeto di stelle che sale fino al cielo . All’interno del centro storico il tempo sembra si sia fermato, il visitatore curioso, potrà vedere le casette in pietra grigia addossate l’una all’altra, vicoli stretti e tortuosi con ancora la vecchia pavimentazione a schiena d’asino in cotto e calcare, piazzette piccole piccole come salottini, torrioni di guardia, botteghe medievali e tanto altro.
Il tutto sembra rianimarsi durante i due eventi che oggi si svolgono
all’interno dell’incantevole abitato:
1) il Paese diventa Presepe, che ormai da otto anni trasforma nel periodo di Natale il paese intero in un enorme presepe di ambientazione ottocentesca. Molte botteghe antiche vengono riaperte ed allestite con materiali della tradizione. Adulti e bambini in costume ciociaro popolano le stradine e gli angoli tipici illuminati da fiaccole a vento, impegnati in antichi mestieri, ormai scomparsi in un’attmosfera magica e rievocativa della natività e dei tempi passati. Attualmente la manifestazione vede la partecipazione di 11.000 / 12.000 visitatori nelle 5 giornate di attività.
2) Carnevale del Folklore, dedicata all’arte e all’artigianato locale , nata per volontà dell’Amministrazione Comunale e della Pro Loco per far conoscere e rinascere l’arte e l’artigianato attraverso l’esposizione nelle botteghe antiche dei manufatti e prodotti tipici della tradizione castrese, il tutto condito da eventi musicali e degustazione di prodotti tipici.
Nel centro di Madonna del Piano, fulcro economico e commerciale di Castro dei Volsci sono concentrate tutte le strutture ed i servizi che rendono il paese moderno, funzionale ed accogliente.
Sono presenti scuole, banche, locali di ristoro, negozi di varia tipologia. Diversi sono anche i centri sportivi e le palestre. C’è un campo sportivo ed è in fase di ultimazione un grosso centro polisportivo con annesse piscine, sala convegni e saloni espositivi che rappresenterà un potenziale attrattivo anche per i paesi limitrofi.
Inoltre è presente un istituto museale , che raccoglie e custodisce quei reperti che permettono la ricostruzione di tutte le vicende storiche svoltesi nella Valle del Sacco ed opera come centro di propulsione per tante attività culturali di diversa natura , non soltanto inerenti l’archeologia.
Il Museo si pone, pertanto, come centro di promozione della cultura con compiti non solo conservativi, propone spettacoli, visite guidate esterne, cicli di conferenze su aspetti diversi del mondo antico, eventi musicali, ecc…
Tutte le attività sono ospitate o nella grande piazza antistante il museo o nell’area archeologica ad esso prossima o nella sala conferenze.
Sempre il museo è promotore di una serrata attività didattica, portando nelle scuole stesse corsi teorico-pratici sulla manipolazione della ceramica, sul restauro della ceramica antica, sulle tecniche di realizzazione del mosaico o sulle
tecniche di oreficeria antica. All’interno del museo inoltre vengono organizzate esposizioni e mostre di diverso genere da documentarie ad espositive.
Da tre anni, inoltre il comune di Castro dei Volsci è promotore di una stagione teatrale intitolata a Vittorio Gassman che vede la partecipazione di grossi nomi del teatro e della cultura nazionale.
Inoltre è inserito nel circuito di 20 Comuni che ospitano, nel periodo estivo il Festival Nazionale “Vallecorsa di Scena – transiti Teatrali” giunto alla VII edizione.
Di nuova istituzione è la Biblioteca Comunale, che offre spazi idonei sia a bambini di età prescolare che ad adulti , non solo per il prestito librario e la ricerca, ma anche per attività culturali di vario genere (musica, arte, poesia).
Sul territorio sono presenti numerose Associazioni di volontariato che operano in diversi settori, da quello culturale a quello sociale.
Per citarne alcune si può ricordare:
1)l’Associazione Gruppo Folk Città di Castro , che costituito da un gruppo di giovani e di giovanissimi, si distingue da anni per la sua attività tesa a perpetuare scientificamente e fedelmente le nostre tradizioni più antiche ricostruendo il costume tipico castrese , incluse le tipiche calzature, denominate “ ciocie” , esportando nel mondo la nostra tradizione prendendo parte a festival, riunioni , concorsi ed organizzando anche qui a Castro il “ Festival Internazionale del
Folklore” arrivato alla 12 edizione.
2) L’Associazione Banda Musicale Città di Castro, impegnata oltre che nella costituzione di un gruppo bandistico anche nell’ organizzazione di corsi di musica di diverso livello e nella gestione della scuola comunale di musica.
3) L’Associazione Peter Pan, impegnata nel sociale a sostegno di persone disabili o bisognose di reinserimento nella società.
4)l’Associazione Girotondo che opera specificatamente nel settore ricreativo dei bambini e dei ragazzi.
5) La Società Calcio , con un centinaio di iscritti in squadre maschili e femminili di diverso livello .
6)Associazioni di volontariato per la tutela ambientale : Rangers Italia ed Euroafi Codacons.
7) l’Ass. AVIS “Nicola Polidori” che ai fini della sensibilizzazione alla donazione e alla solidarietà organizza nel corso dell’anno diversi appuntamenti culturali, sportivi e turistici.
L'economia del paese
Un breve accenno all’economia del paese vede una attività che sino agli anni 50 era basata soprattutto sull’agricoltura con coltivazioni specifiche di viti, grano , olivo, mais e prodotti ortofrutticoli diretti ad un piccolo mercato locale. Oggi la struttura della società è notevolmente cambiata e l’occupazione principale rientra nel settore terziario e quaternario.
La popolazione è costituita da insegnanti , impiegati , liberi professionisti ed operai specializzati, impegnati nelle realtà imprenditoriali ed industriali della zona.
Le aziende agricole sono limitatissime, nell’ordine di tre o quattro. I giovani sono prevalentemente impegnati in attività sportive, in associazioni di volontariato e nello studio. I collegamenti scorrevoli permettono un interscambio agevole con città come Roma, Firenze, Napoli, Cassino, Latina, Rieti, Viterbo.
Il dominio dei Volsci sulla valle del sacco ando’ progressivamente scemando a mano a mano che cresceva la potenza militare di Roma. La sconfitta patita nella battaglia di Mecio, presso Lanuvio, nel 389 a.c. ad opera del dittatore romano Camillo, fu catastrofica e sancì l’inizio della decadenza del dominio volsco nel Lazio. Roma , tuttavia, per imporsi totalmente in Ciociaria, dovette fronteggiare la potenza militare di un altro popolo che contendeva ai Volsci il dominio di quei territori: i Sanniti. Al termine di un secolo di scontri cruenti tra Romani e Sanniti, che vengono celebrati da Tito Livio come le Guerre Sannitiche, il Lazio è ormai assoggettato a Roma. Siamo all’incirca alla fine del II sec a.C. e il territorio di Castro è occupato stabilmente da guarnigioni romane. Coloni provenienti da Roma si stabilirono nelle pianure sottostanti l’attuale paese. Presidi militari vennero istallati a Montenero Castellone, per tenere sotto controllo i territori a sud e l’altro sul colle di Castro, per vigilare il passo di Lautulae, ora detto della Quercia del Monaco, che collegava il Lazio meridionale alla Campania. Questi insediamenti militari hanno le caratteristiche del tipico accampamento romano: il Castrum; e da esso prenderà il nome il paese. I coloni romani, insieme ai superstiti delle popolazioni autoctone, abitavano i territori di pianura. Erano terreni fertili, inondati nei periodi di piena dal fiume Trero, l’odierno Sacco. L’agricoltura era la principale risorsa economica di Castro, ma anche il commercio doveva avere la sua importanza. I Romani avevano da poco costruito una nuova strada, che collegava Roma a Capua: la Via Latina. Attraverso questa nuova via, ora, era possibile far muovere più rapidamente le merci. É questo un periodo di particolare ricchezza economica. Lo testimoniano recenti scavi archeologici in località Casale, nella contrada di Madonna del Piano, che hanno riportato alla luce una Thermae romana, detta di Nerva. Un’altra località di Castro, dove sono stati trovati resti di costruzioni romane è Acquapuzza, sita nel versante nord-ovest di Colle Pece. Si tratta di una località un tempo molto ricca di sorgenti sulfuree, oggi completamente prosciugate. Gli abitanti del luogo ricordano alcuni cunicoli sotterranei e parlano di un edificio ad uso bagni. Il che è molto verosimile data la presenza di acque solforose adatte a guarire le malattie della pelle e di cave di asfalto, sfruttate fin dai tempi più antichi per ricavare medicamenti a base di pece (la Pix Castri); tali cave danno il nome appunto alla contrada. La costruzione rinvenuta ad Acquapuzza, doveva far parte di un sistema di balneazione ad uso termale, analogo a quello del Casale, ma specificamente per terapie dermatologiche.
Ne’ danni manuali vi sia la pena di baiocchi 75, toltone li casi seguenti. 1′ Seminati A far erbe colle mani, senza alcun istrumento, nei seminati: baiocchi due e mezzo. A mietere, o far foraggine o erba prata: giuli sette e mezzo. A mietere o tagliare grano secco, orzo, biada e spelta in spighe, o sia qualche branca che non arriva a gregna: scudo 1. E se arriva a gregna: scudi 3. Ma, rispetto alla biada, se non arriva a gregna: baiocchi trenta. 2′ Fratte e mandre A sparar mandre de’ pastori, dove però è il coperto di caprareccia, pecorareccia e porcareccia: baiocchi trenta. Dove non vi è detto 21 coperto: nihil. 3′ Tuteri A cogliere tuteri verdi, sino a tre: baiocchi trenta. E a cogliere i secchi: scudi 2. Facendo fronda: giuli sette e mezzo. 4′ Legumi A cogliere legumi verdi: giuli sette e mezzo. Ma cogliendo una sola volta, colla mano, fave e ceci e cicerchi: mezzo grosso. 5′ Ortaglie A cogliere insalata o altre ortaglie: baiocchi settanta. 6′ Broccoli A cogliere broccoli o cavoli, anche in poca quantità: giuli quindici. 7′ Uva A cogliere uva ad albereti o piagge, che vi siano i almeno dieci alberi con viti potate: scudo 1. Ma cogliendo solamente due pennoli e portandoli però in mano, cioè in vista: baiocchi dieci. La notte: scudi 2, anche se fosse un solo vaco e ciò dopo il mese di luglio. Ma prima d’agosto, passando un pinnolo: baiocchi dieci. E per uno solo: mezzo grosso. A cogliere uva alle viti non potate: baiocchi cinque. Agli alberi spinati: baiocchi 75. 8′ Fichi A coglier fichi negli alboreti, o in altri luoghi che sono ristretti, benché vi siano dei vadi, mangiandone dentro, o sia nello stesso luogo e purché non saglia alli piedi: baiocchi 20. E cacciandone fuori: baiocchi 50. A cogliere però fuori degli alboreti, che non vi sia più di un piede di fico: nihil. E negli altri luoghi larghi, che vi è più di un piede, passato agosto: mezzo grosso solamente. 9 Fave A cogliere fave verdi e mangiandole dentro della possessione stessa: baiocchi dieci. E cacciandole fuori, in quantità sino ad un medaro di cappello in vaedane: baiocchi 20. E di più: giuli sette e mezzo. 10′ Frutti A batter frutti, anche con urli’, con tuccarelli e sassi, o montar sugli alberi: baiocchi 75. A raccoglierli in terra, sino a dieci vached: nihil. E di più ne’ luoghi ristretti o alborati: baiocchi 15. E ne’ luoghi larghi: un carlino. E cacciando con un sacco o canestre: giuli quindici, anche ne’ luoghi larghi. A batter sorba, o altri frutti selvatici: baiocchi cinquanta. 11′ Ghiande e castagne A battere ghiande e castagne, o raccogliere alle selve della comunità: giuli quindici purché le trasporti o siano in atto di trasportarle almeno in quantità di una scodella. Meno di una scodella: baiocchi 75. Ma se si mettessero in saccoccia di calzoni, o mangiassele dentro delle dette selve: nihil, anche per il danno. A battere castagne e ghiande padronali: giuli 15. Con tuccarelli, o sassi in terra: baiocchi 50. A raccogliere in terra: baiocchi 30. 12′ Olive A cogliere olive ai piedi, o raccogliere in terra, sino a una giummella: nihil. Ma di più: scudi 3. 13′ Traiette A tragittare, o passare negli alboreti, orti e campi seminati e anche in tempi di pena ai prati: baiocchi 75 ancorché non vi sia danno. In mano però alla strada, dove è pratticabile: baiocchi 10. Ma in mano alla impratticabile: nihil. E anche nibil se traversasse senza traedetta fatta per una sola volta. In caso che di una casata fossero accusate più persone nell’ istesso giorno, si paga una sola pena. 14′ Traglie A passar colla fraglia, carro, trascino, travi e aratro a qualunque possessione, anche alborata: nihil di pena, ma solo il danno. 15′ Canne A pigliar canne secche, sino a cinque: mezzo grosso. Sopra a cinque: baiocchi 30. A tagliar canne verdi: baiocchi 75. Facendo fronda: baiocchi 5. Ma rompendo canne: baiocchi 15. A cavare sino a dieci ciocche per ogni canneto: nihil. 16′ Pozzo S. Tomasso Ad abbeverare al pozzo S. Tomasso, sia qualunque numero di bestie: nihil. 17′ Fieno e paglia A pigliar ne’ pagliarecci, o montoni di fieno o paglia, cioè sino ad un sacco di fieno: baiocchi 75. E sino ad un sacco di paglia: baiocchi 30. 13′ Macerie e maceroni A spallare macerie: scudo 1. Alli maceroni: baiocchi 7,5. INCISIONI 19′ Perazza e melazza A tagliare perazza e rnelazza spurgate, o da spurgare: baiocchi 20. Ma, in quanto alli rami, [solamente] ‘a quelle non spurgate: nihil. Ne’ terreni comunitativi: la metà, in quanto solamente alle perazza spurgate. 20′ Castagne A tagliare, o sia fare castagne verdi padronali, benché tagliate da altri ed ancorché fossero rami: giuli quindici. Ma, se l’albero fosse tagliato dal padrone, alli rami: la metà. E in quanto alle castagne spallate: baiocchi 50. A tagliar rami secchi alle castagne padronali, o spallate o in piedi, di qualunque grossezza: baiocchi 30, scorzare, o tagliare, o cavare il pedicone o pedeconi delle castagne tagliate o spallate, che sia verde in qualche parte: geduli cinque, e ciò tanto alle comunitative che padronali. A tagliare o sia a fare, dico. A tagliare, o fare castagne tagliate comunitative, benché rami: scudi 6 per ogni albero, d’applicarsi un terzo alla comunità, un terzo all’accusatore, un terzo al tribunale, o balio. A tagliare, o fare castagne spallate comunitative: scudo 1. Ma chi tagliasse rami grossi non più di due palmi e mezzo dì ridondezza’: nihil. E anche nihil alli rami secchi di qualunque grossezza, in piedi. 21′ Cerque e ceni A tagliare cerque o cerri [verdi], sia grossi che piccoli, alle Monticelle, senza licenza della magistratura: uno scudo. [A tagliere cerque e cerri verdi, sia grossi che piccoli, alla Selvotta; scudi due per ogni albore. Alii rami verdi; uno scudo] \Àtagliare, alla Selvotta degli Angeli, cerque o cerri secchi, o spallati, o in piedi: nihil; con questo che, andandovi più persone, una non possa prendersi altro rocchio se non ha finito il primo preso e cavato fuori dalla selva con bestie da soma, o in collo, sotto pena di baiocchi cinquanta, acciò tutti abbiano il comodo. A tagliare, a detta Selvotta, rami secchi alle cerque o cerri verdi in piedi: nihil. E chi tagliasse il capitello e ura per l’aratro a detta Selvotta: nihil, tanto alli rami quanto agli albori giovani; ma debba tagliare solamente quello che serve per detti legni, questi debbano affaccendarsi in detto luogo e gli avanzi fatti a detti legni debbano lasciarsi in detto luogo, in servizio di altre persone; e chi contravvenisse, cioè si pigliasse 1 detti avanzi o non li affacciasse, incorra in pena di baiocchi 50. L’istessa facoltà di far capitelli, ure e giochi’ sia alle Monticelle; e ivi possa pigliarsi gl’avanzi senza pena. A tagliare, o sia a fare pediconi di cerri o cerque tagliate o spallate, a detta Selvotta: nihil. A spurgare cerquole alle selve della comunità: baiocchi 30. Alle padronali: l’istesso. A tagliar rami alli cepponi di cerqua per la foglia, [ossia fronda], e vi lasciasse almeno tre rami: nibil. E chi non vi lasciasse [almeno] tre rami: baiocchi 50. A tagliare pedeconi di cerque spallate o tagliate padronali: baiocchi 10. 22′ Olive A tagliare o fare olive tagliate, benché secche e benché rami, o padronali o comunitative: scudi 10, d’applicarsi scudi 3 alla corte, o balio, scudi 3 all’accusatore e scudi 4 alla comunità o altro padrone dell’olive; e chi non avesse da perdere: tre anni di galera. Alle spallate: nihil se sono comunitative; ma, se fossero padronali: baiocchi 30. A tagliare, o cavare, o scorciare ciocche verdi d’olive spallate o tagliate: [la metà della pena di sopra) e d’applicarsi nello stesso modo di sopra. Alle secche: nihil se sono della comunità. Ma a quelle de’ padronali: baiocchi 30. A rompere colle mani, senza alcuno istrumento, qualche ramo o due di olive, per aiutare qualche bestia: baiocchi dieci. Facendone di più: baiocchi trenta. E se fosse alli piantoni: uno scudo, anche per un ramo solo, tanto alle comunitative quanto alle padronali. A tagliare ramate per piantare oliveti: nihil. Non più però di tre piantoni per ogni oliveto, il quale non deve essere meno di dieci piedi e pigliarsi non più di un piantone ad un piede; ed agli oliveti della comunità possano tagliarsi quanti ne bisognano, ma non più di un piantone per piede e purché non si vendano alli forastieri; e chi contravverrà in ciascuno di detti casi incorra nella pena di scudi 10, da applicarsi come si è detto a chi taglia olive. 23′ Forma Persone a far ingiuria alla fontana S. Andrea, forma e fontanile, o con bestie o senza, o cavare, ossia levare acqua a detta forma, fontana, o fontanile per lavare: baiocchi 30. Ma chi prendesse l’acqua per lavare i fasciatori: nibil, purché si lavino dove non si fa veruna ingiuria a detta forma, fontana, o fontanile. 24′ Aceri orni, lucidi, cerque, carpine e calcare A tagliare da piedi, o scevrare, o stroncare alberi di acero, orno e cerqua e carpine nero: giuli sei. Alle montagne delle Frattucce, che principia alla Valle Pastori, sino all’Ara d’Innocenzio e tira cima cima, quantunque pende’ sino al territorio di S. Lorenzo, lasciandosi questi quattro alberi, per far capitelli e ure per l’aratro, cerchi per le botti e lavelli, forcinelle e perticoni per li alberi. Le ricorrenti per il pagliaro e per la manna: senza incorso in pena alcuna. A tagliare, o scevrare, o stroncare, come sopra, detti alberi di acero, orno, cerqua e lucino alla montagna della Valle Piaggia, che principia dalla Fontana, tira per la forma sino alla i sorgente e cala alle Mantre Pacioni sino al Porrone Cipolla: baiocchi 30. Lasciandosi questi quattro alberi, per servizio come sopra: senza pena. E a questa montagna non possano farsi nè cese, ne calcare, cioè nè legna per le calcare, sotto pena di giuli quindici. 25′ Detti alberi e cerri e vender legname o carbone ai forastederi Caprari a tagliare detti alberi ed anche quelli di cerro in tutte le montagne: baiocchi 65. A vendere in campagna qualunque sorta di legname [o carboni] a forastìcri, benché fosse per dono o regalo, o pure ad asportarli fuori di territorio: scudi dieci, da applicarsi come si è detto per la pena delle olive. 26′ Calce e Uno A far calce per li fossati [nei luoghi] dove vi è il lino: di pena baiocchi 60, sia lontano quanto si sia. A mettere il lino agli infrascritti fossati, cioè dagli infrascritti luoghi in su: baiocchi sessanta e oltre che sia lecito ad ognuno di cavarlo fuori senza [incorso di] pena alcuna. Detti fossati e luochi proibiti sono cioè: il fossato Rospetto dalla strada in su, confinante cogli eredi di Candidoro Penna; il fossato del Ponticello, e propriamente da dove sta il detto Ponticello in su; il fossato delle Nocchie dalla strada in su, confinante col signore Domenico Antonedo Polidori; ed il ponte Falascoso, e propriamente da detto ponte in su; e per il fossato dt Valleftucca sino alli confini. 27′ Batto e uomini Se il balio o’ suoi uomini d’accompagno faranno danno manuale, paghino il doppio della pena imposta; ma a mangiar per se, cioe 8 in poca quantità: nihil. 28′ Forestieri E, se li forastieri faranno danno manuale, paghino il doppio di quello che è imposto per li Castresi, purché però detta pena doppia non sia meno di giuli quindici, cioè che per li Castresi vi sia imposto baiocchi settantacinque; e, dove fosse meno, vi sia di pena a detti forestieri detti giuli quindici, d’applicarsi come la seguente. Forastieri suddetti a legnare negli alberi fruttiferi padronali e comunitativi: scudi dieci. E negli alberi infruttiferi e legna morta: scudi cinque per qualunque persona. E ciò s’intenda tanto nelli terreni seminativi, che selvati, come anche inculti. Dette pene de’ forastieri d’applicarsi di dieci parti, tre alla corte, o balio, tre all’accusatore e quattro alla comunità, o padrone dannificato. Se poi vi fosse convenzione colli forastieri, si deve stare alla convenzione, che dovrà mostrare chi sarà accusato. 29 Spiegazioni In tutte le sudette pene si debbono raddoppiare se li danni si faranno di notte, cioè li danni manuali. Tutte le sudette pene si osservino tanto nella corte baronale che nella baleca, sino a nuova disposizione del consiglio, che ha la facoltà di rinnovare le deliberanze a forma dello statuto. In tutte le cose, tanto rispetto al danno del bestiame, che manuale, vi sia la licenza del padrone dannificato, cioè che né la cotte, nè la baleca possa procedere alla pena dell’accusa, o sia querela ecc., senza licenza del padrone dannificato, a riserva di quelle cose che il danno apparterrebbe alla comunità, come sono li tagli d’alberi E le pene contenute in queste liberanze debbano osservarsi dopo che nelle forme solite si sarà pubblicato bando dal pubblico mandataro, di essere state rinnovate le liberanze. Siccome si è detto, rispetto a qualunque danno manuale vi sia di pena baiocchi settantacinque, a riserva di quelle cose altrimenti specificate. Così anche per qualunque minima cosa si dovrebbe soggiacere a detta pena, per li quali casi si vuole che non vi sia pena alcuna, come già in alcune cose si è qui specificato, ma non per tutti li capi sì è potuto specificare non esservi pena. Pero in dette cose minime, come sarebbe a spurgare alberi d’orno, cerqua e lucino benché nelle montagne riservate, a fare qualche vinchio per toccare le bestie, a coglier cicoria ed altre erbe selvatiche anche ne’ seminati e simili, si è risoluto di non imporvi alcuna pena, a riserva de’ luoghi ristretti, ne’ quali vi sia di pena baiocchi quindici. Castro, questo dì 15 novembre 1795 Firmati e crocesignati nell’originale: segno di croce di Ermenegildo Lombardi, sindaco illetterato; segno di croce di Francesco Polisena, officiale illetterato;io Giuseppe De Santis, officiale; io dottor Giovanni Battista de’ Giuli, consigliere deputato; io Vincenzo Palatta, consigliere deputato; io Antonio Sebastianelli, consigliere deputato; io Marco Polidori, consigliere deputato; segno di croce di Marco Palombi, consigliere deputato; Giovanni Battista de Santis, consigliere deputato Giovanni Andrea capitan Passedo, governatore. Domenico Antonio Galloni, notaro e segretario, a dì 6 marzo 1796. Biagio Lupi, publico mandataro, riferisce a me ecc. di aver sott’oggi publicato bando per tutti i luoghi soliti di questa terra di Castro, di essere state rinnovate le presenti liberanze. In fede ecc. Ciò si è fatto perche ognuno possa osservarle. Domenico Antonio Gallone, notaro publico e segretario. Per copia conforme, il priore Carlo Palatta.
Il moto innovatore della Rivoluzione Francese, che aveva sconvolto la Francia sul finire del 700, venne esportato in modo progressivo dall’esercito francese nel resto d’Europa. Le grandi novità ideologiche della legalità ed eguaglianza, portate sulle picche dei rivoluzionari non erano affatto gradite a Roma che, oltretutto veniva offesa pure, come Chiesa, dal culto della dea ragione. Nel 1796 ci si lusingava di poter tenere lontano dalla Città eterna questo nuovo “sacco”, con una strenua difesa armata; così, tra gli altri, Filippo Colonna mise a disposizione del papa Pio VI i suoi armati: ne ottenne in cambio il grado di Colonnello-Generale. Purtroppo una volta caduta Roma, e proclamatavi la repubblica, provò, come tante volte i suoi antenati, la vendetta del vincitore che lo privò del feudo e lo multò di molte migliaia di scudi. Presto, però, l’albero della libertà che era stato innalzato, non solo in Roma ma pure nelle nostre terre e nel suo feudo, fu abbattuto, e tutto tornò come prima. Tuttavia, nel breve tempo intercorso, i francesi in nome degli immortali principi fecero sentire anche ai sudditi pontifici il peso della libertà, portata dalle armi straniere. Durante la repubblica francese, con i principi della libertà Castro ebbe il suo “Maire”; fu il primo, perché lo riebbe più a lungo, successivamente, durante il periodo napoleonico. Il primo di essi sembra abbia avuto una triste fine: stando alle fonti locali egli si era montata la testa, tanto da voler ripristinare nel suo dominio un redivivo “ius primae noctis”. Mal gliene incolse perché lo sposo che avrebbe dovuto iniziar la serie dei… contenti, giovane e ardito reagì colpendolo con una coltellata all’addome… ritirando subito la lama acuminata dalla ferita la vide intrisa di sangue e di feci: si rivolse al colpito dicendogli: Mèr, ho fatto mmèr …. Il Maire morì e lo sposo dovette darsi alla macchia in attesa della liberazione , che lo restituisse alla sventurata sposina. Il Principe Colonna dopo la cacciata dei Francesi, riordinò il suo Feudo disponendo nuovi ordinamenti amministrativi e giurisdizionali: è sua la firma, di convalida al nostro Statuto. Tornò ancora la Francia ad abolire la giurisdizione feudale, questa volta con Napoleone imperatore, che promulgò un codice unico. Castro ebbe il tricolore e di nuovo il suo “maire” . Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo nel 1815, Pio VII potè ritornare al governo del suo Stato tra le acclamazioni dei fedeli sudditi. Non sappiamo quale fu il comportamento dei cittadini di Castro durante la repubblica romana né precedentemente quando il sommo Pontefice Pio IX, concesse la nuova costituzione al suo Stato. All’uccisione del primo ministro Pellegrino Rossi avvenuta nel 1848 nel palazzo della Cancelleria in Roma seguirono nella capitale i disordini ben noti che culminarono con la fuga del papa verso l’ospitale Regno: durante l’esilio a Gaeta, ospite di Ferdinando II di Bortone, non risulta che a Castro avvenisse alcunché di notevole, non c’è neppure traccia di manifestazioni di solidarietà verso il Pontefice come vi furono da parte di altri centri di Campagna. Troviamo invece che Castro con S.Lorenzo e Vallecorsa in consorzio (essi costituivano il Governo di Vallecorsa) contribuì alla manifestazione di esultanza delle popolazioni ciociare per il fausto evento del rientro del sovrano nei suoi Stati. Con deliberazione presa all’unanimità il nostro consiglio comunale stanziò ben 40 Scudi per l’esaltazione dell’avvenimento inviando una delegazione ad incontrare il corteo pontificio allo sbocco della strada di S.Lorenzo sulla provinciale di Prossedi, dove quello provenendo da Terracina iniziava l’itinerario per Frosinone, prima tappa verso Roma. Alla vigilia del 1870, dunque, Castro viveva la sua vita di sempre: esposto a qualunque avvisaglia delle truppe che poco lontane dal confine si fronteggiavano: va ricordato che nel 1867, il generale barone Giovanni Nicotera coi suoi uomini cercò da Falvaterra, già in mano alle truppe che combattevano per il Re d’ Italia, di raggiungere Vallecorsa col pretesto appunto di eliminare gli ultimi residui di banditismo; con l’occupazione di Vallecorsa egli avrebbe inferto un duro colpo agli Stati della Chiesa. Si conserva tra le memorie della famiglia Ambrosi un avviso di requisizione di alcuni cavalli a firma dello stesso b.ne Nicotera. Gli uomini del Nicotera ebbero poca fortuna perché invece di essere accolti come liberatori in Vallecorsa furono attaccati da soverchianti forze pontificie e ripiegarono sulle primitive posizioni. In località Monterotondo, dove avvenne lo scontro, sul confine Castro-Vallecorsa un ossario conservò i resti dei caduti, poi traslati nel cimitero di Vallecorsa. Il pianoro sul monte porta ancora il nome di Campo Savoia. Cosa diremo della trasformazione avvenuta nella vita del comune di Castro dopo l’unificazione d’Italia? L’amministrazione passò dalle vecchie famiglie ad altre più liberali, meno legate al passato e Castro non più di Campagna divenne dei Volsci (1872) ed entrò a far parte del circondario di Frosinone, mentre conservò a buon diritto l’appartenenza alla provincia di Roma. Successivamente, nel 1927 fu creata la nuova provincia di Frosinone.
Il fenomeno comunemente conosciuto come “Brigantaggio” assume in se molte realtà, a volte contraddittorie e controverse allo stesso tempo, da risultare vere ed attendibili storicamente, per lo stesso fatto o avvenimento da qualsiasi lato la si analizza. Il brigantaggio popolare generalmente non lo si riconduce alla volontà determinata di delinquere ad ogni costo ma spesso è il risultato scaturito nell’occasionale fatto di sangue che, per ragioni d’onore o di risibili liti, magari amorose, alimentate dalle rituali libagioni nei giorni di festa, veniva a turbare la serenità della vita quotidiana. Il reo, per sfuggire alla pena ed alla possibile ritorsione da parte dei congiunti della vittima, non trovava di meglio che darsi alla macchia. Importante sarebbe analizzare, non solo come da codice, la legge a suo tempo puniva il reato, ma come operava chi era preposto al suo rispetto ed alla sua applicazione. E certo che molti, benché esuberanti e focosi, li ritroviamo oggi negli elenchi dei cosiddetti malviventi perché vittime, a loro volta, di ingiustizia. Il territorio aspro e selvaggio, le montagne folte di vegetazione d’alto fusto, perché mai sottoposte a taglio, erano ideali per far perdere le tracce. Non avrebbe giovato sconfinare perché quei reati erano detti “cavalcabili”, cioè perseguibili fuori della Terra e la giurisdizione avrebbe facilmente raggiunto il reo. Il monte “amico” invece, avrebbe facilmente nascosto il ricercato e altrettanto facile sarebbe stato per i suoi familiari provvedere a rifornirlo. Con la chiusura serale delle porte del paese, era improbabile il rientro a casa per la notte, ma il timore, la frugalità cui si era abituati facevano sentir poco il rigore dell’addiaccio prolungato, forse chissà, per tutta una vita. Da qui a ritrovarsi, per sopravvivere, a far parte di quelle che sarebbero diventate vere organizzazioni, bande, il passo fu breve. Ormai la latitanza era la nuova vita. Quando queste si sentivano forti abbastanza, allo scopo di migliorare il tenore di vita ed anche per quella spavalderia che accompagna chi la fa in barba alla legge, esse compivano non solo aggressioni a singoli a scopo di rapina, di sequestro a scopo di riscatto, ma pure attacchi in forza contro gli armati. Il conflitto con gli uomini della legge, che spesso si concludeva con lo spargimento di sangue da una parte e dall’altra, rendevano più feroci e più pericolosi questi uomini emarginati e irrecuperabili. E delle loro gesta si alimentavano le leggende attorno al fuoco. Poi abbiamo il cosiddetto “brigantaggio politico”, o non osteggiato come si doveva, sia pontificio che del Regno. La carenza d’autorità durante i frequenti rivolgimenti politici, le incursioni di militari sbandati dediti al saccheggio, tutto contribuiva a creare il terreno fertile ad incrementare non solo il banditismo, prettamente criminale, ma quello che sbandierando un ideale politico si ammantava di una veste più cavalieresca e magari accettabile da una parte della popolazione che si vedeva rappresentata da questi quasi “giustizieri”. La fusione dei due tipi di fuorilegge, ripetutasi più volte, va sotto l’unico nome di “brigantaggio”. Ci volle tutta l’energia di Sisto V, ai suoi tempi, per estirpare la mala pianta, destinata a rinascere di tempo in tempo. Altri papi fino a Pio IX furono impegnati in questa lotta. Castro fu interessato al fenomeno negli anni 1789-1821 e 1861-1875. Essendo Castro posto a confine tra lo stato della Chiesa e del “Regno”, con le sue montagne estesissime e un patrimonio boschivo anche in pianura, altrettanto vasto, proprio su quella linea e con ben pochi mezzi a disposizione per la sorveglianza, è facile comprendere come il suo territorio venisse sfruttato da “briganti volgari” e da “patrioti”, soldati napoletani sbandati ma anche regolarmente inquadrati che speravano di trovare asilo, per riprendere poi le loro imprese. Anche Castro forniva al governo di Frosinone oltre i contributi in denaro, i suoi “squadriglieri”, tipica formazione militare composta da uomini del popolo, calzati con le ciocie, detti “Zampitti “, in uniforme pittoresca e armati di archibugio, per combattere il fenomeno. Nell’ immaginario popolare, ancora oggi, un solo nome resta alla memoria quando si parla di briganti a Castro: Matteo Solli. Figlio di famiglia “notabile” del paese, nipote del prelato più potente della comunità: l’Abate di San Nicola, Casimiro Solli, è il classico brigante per ingiustizia subita. Di spirito ribelle fin da giovane età, mal apprezzava gli sforzi dello zio e le sue preghiere affinché indossasse l’abito talare. Intrapresa la carriera militare, più confacente al suo spirito, per la sua spregiudicatezza fu accusato, ingiustamente, di omicidio, ed arrestato. Dalla fuga dalle carceri fino alla sua uccisione avvenuta il 25 Agosto 1820, la sua esistenza fu una continua evoluzione di ferocia e nefandezze tali da travolgere anche i congiunti. Fu il terrore delle nostre montagne per oltre un decennio. La sua inafferrabilità, scaltrezza ed intelligenza hanno tracciato un solco nelle leggende della comunità castrese da tramandare le sue “storie” fino ad oggi.
Un altro episodio luttuoso ha colpito la comunità di Castro dei Volsci, decretando la morte di tre giovani castresi rei soltanto di far da capri espiatori alla barbarie della legge sulla rappresaglia, messa in atto dalle truppe tedesche di occupazione. Per necessità di sussistenza, il comando tedesco ordina, già da qualche tempo, di attuare razzie di paglia e fieno, di generi alimentari e quant’ altro; in questa occasione il bersaglio della razzia è la contrada Camarrone.
La popolazione già in allarme, per analoghi episodi accaduti in precedenza in altre contrade, li accoglie a colpi di fucile, ferendone due: un maresciallo leggermente e un soldato più gravemente. Contro il giusto risentimento popolare il comando tedesco risponde ordinando la cattura di ottanta civili sfollati in questa località che vengono tradotti, dopo essere stati tatuati sulla fronte con inchiostro grasso, e battuti con calci e pugni, nei pressi del convento dei Padri Carmelitani di Ceprano. Dopo un sommario interrogatorio, solo quattordici sono trattenuti e trasferiti ad Arce dove privi di ogni cibo, l’indomani subiscono un altro lunghissimo interrogatorio e quindi trasferiti in maniera definitiva nei penitenziario di Paliano. In questo penitenziario essi vengono nuovamente interrogati, e poi percossi ed insultati. I pasti consistono sempre in brodaglia, torsi di broccoli e bucce di patate una volta al giorno, ed aumenta ancor di più le sofferenze dei prigionieri, che avranno come compagno di cella a dar loro conforto Don Silvio Bergonzi, Parroco di S. Pietro in Poti, detenuto a sua volta.. Gli eroi, detenuti, che appartengono alla nostra comunità sono: ANDREOZZI ALFREDO fu “Reto” nato il 27 marzo 1913. CECCARELLI GIOVANNI di Luciano nato il 2 marzo 1915. RICCI GIOVANNI fu Giovanni nato, il 11 febbraio 1918. Tutti e tre saranno fucilati dagli aguzzini nazisti il 29 Aprile 1944 nel cortile del carcere di Paliano. Dette notizie verranno successivamente fornite dal fratello del Ricci, Giovanni, il quale, in occasione del bombardamento di Paliano e dell’arrivo degli Alleati riuscirà ad evadere dal penitenziario e a far ritorno, incolume, a Castro. Di quei nobili caduti, ci restano a testimonianza del loro martirio, le lettere che scrissero, un attimo prima di essere fucilati, ai loro familiari.
18 Febbraio 1941 Ore 23 del 18 Febbraio del 1941. La nave italiana Eritrea comandata dal capitano Marino Iannucci di stanza a Massaua, città dell’Eritrea sul Mar Rosso, attraversa lo stretto di Bad el Mandeb e si inoltra nell’ Oceano Indiano alla volta del Giappone. La scelta di iniziare la navigazione a notte inoltrata è motivata dal pericolo di incontrare navi e sottomarini inglesi, che presidiavano stabilmente le rotte mediorientali. Da Massaua a Kobe, porto giapponese dove Marino lannucci guidò indenne l’Eritrea, furono percorse più di novemila miglia in un mese e 4 giorni circa. La traversata dell’Oceano Indiano non fu priva di rischi e più di una volta la nave fu pronta al combattimento; tuttavia l’abilità e l’astuzia del suo comandante la tenne al riparo dal nemico. Egli operò un camuffamento dell’ Eritrea, trasformandola, con adatte sovrastutture, nella nave-scorta portoghese ” Pedro Nunez ” riuscendo ad eludere il blocco inglese nel mar di Timor e approdando in Giappone il 22 Marzo 1941. Dopo l’armistizio dell’ 8 Settembre 1943 al capitano lannucci giunse l’ordine del comando italiano di consegnare l’ Eritrea agli Inglesi. Egli condusse, allora, la sua nave nel porto di Colombo nell’isola di Cevlon e si consegnò con i suoi uomini al comandante inglese Weeks.
L’ ammiraglio Marino lannucci nacque a Castro dei Volsci il 15 Aprile 1900 da una famiglia di modesti agricoltori. Adolescente si iscrisse alla Regia Accademia Navale di Livorno e nel 1919 concluse gli studi con il grado di Guardiamarina. Fu imbarcato su numerose navi nelle quali maturò l’esperienza della navigazione e finalmente l’anno successivo, fu nominato Tenente di Vascello sulla nave S. Marco. Promosso Capitano di Fregata prese il comando della nave da guerra Eritrea. Subito dopo la guerra, promosso al grado di Contrammiraglio, fu nominato presidente del Tribunale Militare Territoriale di La Spezia. Dall’ Ottobre 1952 alla morte, avvenuta a Genova il 15 Settembre 1953, fu Direttore Idrografico della Marina.
Il 3 giugno 1964 sulla Rocca di Castro dei Volsci veniva inaugurato il monumento alla Mamma Ciociara. L’Amministrazione provinciale di Frosinone, il Comune di Castro dei Volsci e il Comitato, appositamente costituito, si onorano di aver ricordato, primi in Italia, col sacrificio delle madri ciociare, che dovettero difendere l’onore e la vita delle figlie dalla brutalità delle truppe di colore, quello di tutte le madri che in ogni luogo han visto cadere in guerra i propri figli. Alto, solitario sull’antico baluardo colonnese, il gruppo marmoreo guarda ora la catena dei Monti Ausoni, tra le valli dell’Amaseno e del Liri, luogo della tragedia. Il fermo atteggiarsi della Mamma ciociara, nel tragico istante protesa a difendere la sua creatura, sintetizza le virtù eroiche delle donne ciociare, taciturne e laboriose, umili e schive, ma di una fierezza pacata, espressione sensibile di composti sentimenti interiori. Lo scultore Felice Andreani di Carrara ha scolpito il monumento e il Senatore ciociaro Giacinto Minnocci ha dettato l’epitaffio:
Nel ventennale della resistenza
il comune e la provincia
per incitamento
alla fratellanza dei popoli
con gli onori
della guerra sterminatrice
qui ricordano
i tanti figli e figlie di questa terra
che ossequenti alle patrie tradizioni
affrontarono con eroismo la morte
in difesa
del loro onore e della loro libertà
1 Novembre 1968 Il cimitero di Castro dei Volsci è stato sconvolto, nel primo pomeriggio, dalla terrificante deflagrazione di un ordigno, che ha ucciso quattro donne e ferito decine di persone, che si erano recate a rendere omaggio ai propri defunti. L’ordigno, insieme ad altri sette, era stato posto, nell’immediato dopoguerra, a decorazione della base di un monumento in muratura eretto a ricordo delle vittime dell’ultimo conflitto mondiale. I numerosi ceri, che i cittadini avevano acceso, per commemorare i loro cari morti in guerra, hanno provocato il surriscaldamento dell’ esplosivo all’ interno della bomba, che è esplosa fragorosamente. A cadere a terra sono state tre donne, morte sul colpo. Un’ altra poveretta, ferita in modo grave, è stata trasportata in fin di vita all’ Ospedale di Ceccano, dove è deceduta poco tempo dopo. I feriti, numerose decine, fortunatamente non gravi, sono stati ricoverati all’Ospedale Civile di Ceccano e in quello Provinciale di Frosinone. I carabinieri stanno svolgendo indagini per accertare le responsabilità della sciagura.
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