Museo
Il Museo Civico archeologico di Castro dei Volsci è istituito con delibera comunale n.15 del 25/05/1994 con lo scopo di accogliere e rendere fruibili i numerosi reperti che gli scavi condotti in quegli anni nella località Casale di Madonna del Piano stavano riportando in luce.
La mostra “Archeologia medievale del Lazio – L’insediamento di Casale di Madonna del Piano”, organizzata dal Centro Europeo per il Turismo, allestita nella prestigiosa sede del Ministero dei Beni Culturali, nel Complesso Monumentale del San Michele a Ripa in Roma, nel novembre del 1992, può essere considerata l’anteprima dell’idea espositiva. Il grande successo tributato alla mostra sia dal pubblico che dalla stampa, consentì di procedere con serenità alla realizzazione del museo.
Lo stretto legame dei reperti da esporre con il contesto di provenienza portò alla scelta come sede museale dei locali della scuola Media di Madonna del Piano. Inizialmente il museo era articolato in sette sezioni, ma l’esigenza di consentire una più consona esposizione dei molteplici aspetti archeologici del territorio portò, negli anni seguenti, ad un suo ampliamento.
Vennero create infatti la sezione numismatica e una sala didattica in cui svolgere quelle attività presenti come ormai ordinarie nei programmi del museo.
La presenza di uno spazio esclusivamente destinato alle attività didattiche ha consentito di riportare il percorso museale alla snellezza originaria ed all’organicità espositiva, privilegiando nelle otto sezioni del museo il risalto dei materiali archeologici e rimandando invece per approfondimenti tematici alla sala didattica o all’informatore elettronico,realizzato nell’ambito dello stesso progetto.
Quella che vi proponiamo è un’agile illustrazione delle tematiche presentate nel museo, segnalando i reperti più significativi per valore cronologico, documentario o artistico, al fine di mettere in evidenza la dinamica evolutiva del territorio di Castro dei Volsci dalla preistoria all’Alto Medioevo in relazione alle varie fasi storiche ed insediamentali.
I reperti individuati come più rappresentativi della tematica trattata nella corrispondente vetrina sono proposti anche attraverso immagini fotografiche, per consentirne una più immediata identificazione.
Il nuovo museo si articola in otto sezioni, precedute da un lapidario collocato nel corridoio di accesso.
Un’agevole rampa progettata anche per facilitare l’accesso a portatori di handicap, porta dall’antistante piazzale all’ingresso del museo.
Sulla destra si trova la biglietteria, sulla sinistra l’ingresso ad uno spazio funzionale sia alla sala convegni, sia all’uscita del museo.
Un breve corridoio, ove è allestito il lapidario, porta all’aula didattica, sulla destra, ed all’ingresso del museo sulla sinistra (di fronte si trova un accesso secondario collegato ad una scala che porta nel cortile del museo).
Varcato l’ingresso, un primo pannello riporta la pianta del museo, con la legenda ed il percorso consigliato.
Seguono quindi le otto sezioni espositive:
1. Il territorio
2. L’insediamento di Casale di Madonna del Piano
3. La villa di età imperiale
4. La trasformazione del IV sec.d.C.
5. La fine del latifondo ed il passaggio all’Alto Medioevo
6. La necropoli di VI-VII sec.d.C.
7. La necropoli. Sezione antropologica
8. Il monetiere. Sezione numismatica
La visita si conclude con l’ultimo pannello relativo a Castro dei Volsci nel Medioevo.
In ogni sezione sono esposti i reperti relativi alla tematica trattata, in vetrine o su appositi supporti e pedane,mentre i siti o i contesti di provenienza dei materiali sono illustrati in pannelli corredati da foto, planimetrie, cartografie di riferimento.

Nel clipeo è incisa l’iscrizione funeraria di dedica in ricordo di un bambino, il piccolo Artemisio: Artemi/sio alum/no lib(erto)/ q(ui) v(ixit) an(nis) X d(iebus) XII, b(ene)m(erenti)/heroico f(ilio)
I caratteri stilistici (in particolare la tipologia degli eroti),tecnici (l’uso del trapano) paleografici, consentono di datare il reperto nell’ambito del III sec.d.C.
Il bambino Artemisio, liberto figlio probabilmente di schiavi,visse quindi i brevi anni della sua vita nella villa romana di Casale di Madonna del Piano, nel periodo di maggior splendore della residenza di piena età imperiale.
Il suo nome, le scarne notizie della sua esistenza, rendono vivi gli ambienti vuoti pur nel lusso dei marmi, a distanza di vicende anche drammatiche e di secoli di oblio, della villa imperiale.
Il bambino Artemisio è diventato, dopo la sua scoperta, la piccola guida della sezione didattica del museo.
A lui, di cui il caso ci ha restituito il nome, ed agli altri bambini di alcuni secoli dopo, sepolti nella necropoli altomedievale di VI-VII sec.d.C., alcuni ancora non nati, e dei quali la scienza ci fornisce solo aridi dati di antropologia fisica, vogliamo dedicare il nuovo museo archeologico.
Il lapidario è ospitato nel corridoio di accesso al museo.
Sono esposti alcuni reperti marmorei provenienti dalla Villa romana di Casale di Madonna del Piano.
Particolarmente significativa la fronte del sarcofago, frammentaria, di Artemisio, ed un frammento di lastra con iscrizione, probabilmente anch’essa funeraria, di Trebio….tribuno militare
La presenza di iscrizioni pertinenti a monumenti sepolcrali documenta l’esistenza di un’area funeraria relativa alla villa di età imperiale, non ancora individuata, ma sicuramente spoliata in periodo tardo antico per recuperare il materiale lapideo, come testimonia un’altra iscrizione frammentaria riutilizzata come lastra ad arco nella fase altomedievale dell’edificio di culto paleocristiano.
Un’agevole rampa progettata anche per facilitare l’accesso a portatori di handicap, porta dall’antistante piazzale all’ingresso del museo.
Sulla destra si trova la biglietteria, sulla sinistra l’ingresso ad uno spazio funzionale sia alla sala convegni, sia all’uscita del museo.
Un breve corridoio, ove è allestito il lapidario, porta all’aula didattica, sulla destra, ed all’ingresso del museo sulla sinistra (di fronte si trova un accesso secondario collegato ad una scala che porta nel cortile del museo).
Varcato l’ingresso, un primo pannello riporta la pianta del museo, con la legenda ed il percorso consigliato.
Seguono quindi le otto sezioni espositive:
1. Il territorio
2. L’insediamento di Casale di Madonna del Piano
3. La villa di età imperiale
4. La trasformazione del IV sec.d.C.
5. La fine del latifondo ed il passaggio all’Alto Medioevo
6. La necropoli di VI-VII sec.d.C.
7. La necropoli. Sezione antropologica
8. Il monetiere. Sezione numismatica
La visita si conclude con l’ultimo pannello relativo a Castro dei Volsci nel Medioevo.
In ogni sezione sono esposti i reperti relativi alla tematica trattata, in vetrine o su appositi supporti e pedane,mentre i siti o i contesti di provenienza dei materiali sono illustrati in pannelli corredati da foto, planimetrie, cartografie di riferimento.
SALA 1- IL TERRITORIO DI CASTRO DEI VOLSCI
Il territorio di Castro dei Volsci rientra nel contesto più ampio della Valle del fiume Sacco, frequentato sin dalla preistoria, rappresentata nei suoi periodi (Paleolitico inferiore, medio e superiore) dai reperti esposti nella vetrina 1: chopping tools del Paleolitico inferiore, lame e grattatoi del Paleolitico medio e superiore.
Interessante per comprendere la tecnica di lavorazione è un nucleo su ciottolo ad un piano di percussione.
Al successivo periodo neo-eneolitico si data una punta di freccia in selce, mentre eneolitica è una piccola ascia in bronzo.Nelle successive epoche precedenti la conquista da parte di Roma le alture di Monte Nero sono occupate dal centro fortificato di Satricum Volscorum, di cui rimane l’esteso circuito difensivo che racchiudeva l’abitato.
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Le fonti storiche ricordano una Satricum Volsca che, dopo aver ottenuto la cittadinanza romana, aiutò i Sanniti nel 320 a.C. ad occupare la colonia di Fregellae. Nel 319 a.C. il centro volsco fu riconquistato dai romani. I dati topografici forniti dalle fonti ed i riscontri archeologici hanno portato ad identificare la Satricum Volsca con il centro fortificato di Monte Nero di Castro dei Volsci. Monte Nero (Satricum Volsca) domina l’ingresso da sud della vallata del Sacco (l’antico Trerus) subito dopo la confluenza con il Liri (Liris), a controllo della riva destra del Sacco, contrapposta a Rocca d’Arce (la Fregellae Volsca) posta a controllo della riva sinistra. Il sistema fluviale Sacco-Liri era la naturale via di comunicazione tra l’Etruria, il Lazio meridionale, la Campania. Il sistema era integrato dagli assi trasversali, legati alla transumanza, che costituivano i collegamenti tra l’Appennino e la pianura costiera, seguendo le vallate fluviali. Uno di questi assi seguiva l’alta valle del Liri,un altro correva lungo le valli del Cosa (Cosa) e dell’Amaseno (Amasenus), sboccando sulla costa in corrispondenza di Terracina (Anxur, poi Tarracina), collegando così con il mare la zona più interna ed i centri volsci e romani di Frosinone (Frusino) e di Ceccano (Fabrateria Vetus). Un terzo asse passava sotto Rocca d’Arce (Fregellae dei Volsci) costeggiando Monte Nero (Satricum dei Volsci) e raggiungeva Fondi (Fundi) attraverso il passo di Lautulae. I punti d’incontro delle vallate fluviali sono zone di grande valenza strategica ed i centri che vi sorgono sono insediamenti chiave di controllo non solo territoriale ma anche economico,soprattutto nelle epoche antecedenti la conquista romana ed il successivo riassetto del territorio. Uno dei cardini del sistema è la zona di confluenza dei due fiumi principali, il Sacco e il Liri, con il centro Volsco che ne detiene il controllo e la difesa, Satricum (Monte Nero di Castro dei Volsci), che con la sua massiccia struttura difensiva si configura come un caposaldo organizzato contro l’avanzata romana.
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La frequentazione del sito almeno dal VI sec.a.C. è testimonianza dei reperti della vetrina 2, tra cui sono degni di attenzione un frammento di orlo di dolio decorato a spirale,un frammento di orlo di dolio tripartito, e frammenti di grandi vasi decorati da cordone plastico applicato.
Il sistema di organizzazione territoriale, di cui il centro fortificato di Monte Nero è il cardine, si articola lungo un antico percorso in prossimità del quale sorgono i due santuari di Fontana del Fico e di Colle Pece, entrambi legati ad un culto femminile propiziatorio della fertilità, espressione di una società agro-pastorale e di una religiosità popolare che attribuisce capacità curative ad elementi naturali quali l’acqua e la pece.
Nella vetrina 3 una testa femminile velata, un piede, una mano, databili per caratteri stilistici al III-II sec.a.C., sono gli unici reperti, tra i numerosi ed interessanti reperti rinvenuti, salvati dalla dispersione del periodo bellico degli anni 1940-45, testimoniati ormai solo dalle descrizioni giunteci attraverso documenti di archivio.
Nella vetrina 4, dedicata ai reperti di Colle della Pece, è esposta una ampia tipologia di materiale votivo, databile tra il VII e il II sec. a.C.
In particolare sono significativi una fibula a drago del VII sec, figurine umane maschili e femminili in lamina di bronzo ritagliata di VII-VI sec., attingitoi miniaturistici di impasto, coppette miniaturustiche a vernice nera del IV-III sec., votivi anatomici relativi ad organi genitali ed organi interni (tavoletta poliviscerale e cuore), animali (cavallo, bovino), ceramica databili al III-II sec. a.C.
I caratteri stilistici dei reperti riconducono nell’ambito della Koinè culturale attestata in tutti i santuari coevi di età preromana dell’Italia centrale, testimonianza di intensi contatti, soprattutto commerciali lungo i percorsi non solo longitudinali ma anche e soprattutto trasversali, iniziati probabilmente come vie di transumanza tra le zone adriatiche e quelle tirreniche, oltre che lungo le vie d’acqua rappresentate dai fiumi.
La tematica del territorio si chiude con la presentazione di due siti archeologici ormai di epoca romana: le terme di Acqua Puzza, e le figline del praedium in loc. Selvotta-fosso dell’Incappiatura.
Il toponimo della località ove sorgono le terme è un indicatore della natura delle acque che venivano utilizzate, e quindi del motivo della costruzione dell’impianto proprio in quel luogo. I pochi reperti provenienti provenienti dal sito, cioè alcuni frammenti di intonaco dipinto, sono esposti nell’aula didattica.
La vetrina 5 ospita i reperti relativi alle figline della loc. Selvotta. L’insieme delle fornaci per la cottura dell’argilla sfrutta lo strato geologico argilloso del sottosuolo, consentendo un’attività produttiva diversificata.
Il carattere “industriale” dell’insediamento è testimoniato dai materiali eterogenei che venivano cotti nelle fornaci: mattoni con bollo, votivi, decorazioni architettoniche fittili. Da notare una matrice fittile per testina di Serapide. Sono stati rinvenuti anche numerosi coni fittili. Lo scavo ha restituito inoltre una fibula ed una moneta.
Galleria Fotografica

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8 April 2020

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Acqua, pece, argilla, come risorse del territorio, campi irrigui e dolci declivi sono gli elementi che determinano la trasformazione dell’areale sottoposto al centro volsco di Satricum in zona di insediamenti produttivi dopo la conquista romana.
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L’organizzazione territoriale che vede per l’età volsca l’epicentro di questa zona nell’arx di Monte Nero Satricum, è destinata a trasformarsi dopo il riassetto successivo alla colonizzazione romana.
Nel II sec. a.C. le riforme agrarie di Gracchi, di cui potevano godere solo i cives romani, sono l’origine di fermenti ed agitazioni da parte delle colonie latine.
La resistenza di Roma a concedere la cittadinanza romana porta a violenti episodi culminati con la distruzione di Fregellae nel 125 a.C.
Nel I sec. a.C. il malcontento si estende a tutta l’Italia, e sfocia nelle guerre sociali, che vedono i “socii” italici in armi contro Roma.
Le guerre terminano nell’88 a.C. con la concessione della cittadinanza romana a tutti gli italici.
Alla fine del I sec. a.C. nel Latium adiectum ormai romanizzato, le fertili colline e le pianure irrigue vedono sorgere fattorie e ville rustiche destinate alle attività produttive collegate al lavoro dei campi e all’allevamento del bestiame, espressione di una nuova organizzazione del territorio.
I fiumi mantengono ancora la loro importanza come comode vie d’acqua per i trasporti, mentre una nuova rete stradale mette in comunicazione le città e le ville con la via Latina, asse importante di un complesso assetto viario di collegamento longitudinale tra Roma e la Campania.
Quello che era stato il territorio controllato dal centro fortificato di Monte Nero viene ricompreso dagli agri di Fabrateria Vetus e di Fabrateria Nova, ed assegnato alla circoscrizione amministrativa della tribù Tromentina.
Dopo la riforma augustea, farà parte della Regio I Latium et Campania.
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In questo contesto, su pendii terrazzati verso il fiume Sacco, sorge l’insediamento di Casale di Madonna del Piano, connotato come villa rustica nella fase di età repubblicana. All’inizio dell’età imperiale il nucleo abitativo della residenza viene spostato, con la realizzazione di un nuovo complesso.
A questa fase sono attribuibili i reperti architettonici esposti in questa sezione.
L’evoluzione dell’insediamento è illustrata in un plastico in scala 1:50 al centro della sala, correlato alle planimetrie riportate sui pannelli che, con colori diversi, rendono di immediata percezione le varie fasi cronologiche del complesso.
Nella sala è collocata anche la postazione multimediale che consente approfondimenti, ricerche, confronti, sia per il territorio, sia per i materiali esposti.
SALA 3- LA VILLA DI ETÀ IMPERIALE
La terza sala, detta anche sala romana, è dedicata alla trasformazione della villa nel II-III sec. d.C. in fastosa residenza di una famiglia probabilmente di rango senatorio.
La ricca decorazione è testimoniata dall’opus sectile paretale in marmi policromi, con motivi architettonici ed ornati vegetali, esposta sulla parete sinistra della sala, e dagli elementi architettonici (colonne scanalate e baccellate, un capitello corinzio, una base attica) collocati scenograficamente su una pedana a sinistra dell’ingresso.
A parete, dietro la pedana, su sostegni che suggeriscono l’idea della collocazione originale, sono esposti alcuni rivestimenti di capitelli di pilastri e di lesene in marmo numidico.
Nelle vetrine è documentata la vita quotidiana: vasellame da mensa come piatti e coppe in ceramica sigillata e corinzia con decorazione a matrice, vetri (vetrina 6); mattoni con bolli (vetrina 7), anfore (vetrina 7), oggetti di ornamento come vaghi di collana in pasta vitrea, fibule, pendagli, aghi crinali in osso, e di toletta come pinzette e spatole per cosmetici in bronzo che, insieme ad una presa di coperchietto in bronzo a forma di maialino, ad una borchia circolare in lamina di bronzo ed a chiodini pertinenti ad una cassetta o cofanetto ligneo, riportano all’affascinante e sempre un po’ misterioso mondo della cosmesi femminile (vetrina 8)
Un peso da telaio, lunghi aghi in bronzo, e due placchette in osso e in bronzo relative a giochi, nella stessa vetrina, sono la testimonianza dello scorrere delle giornate in villa tra lavori femminili come la tessitura e passatempi, mentre il colino in bronzo, probabilmente utilizzato per filtrare il vino, è l’eco, insieme all’arredo della mensa, di ricchi banchetti tra i marmi policromi del triclinio.
Ma non solo tranquille attività femminili e convivi animavano le giornate dei signori della villa.
Gli ambienti residenziali videro lo svolgersi anche di riti misterici legati al culto di Attis e della Magna Mater, testimoniati dai reperti della vetrina 9 (una testa di leone, probabilmente pertinente ad uno dei due leoni che affiancavano nell’iconografia tradizionale il trono della Magna Mater; un frammento di scultura raffigurante Dionisio con pelle di pantera; un frammento di scultura raffigurante un piede femminile su coppa macedone) e delle statuette marmoree esposte su basi nell’angolo della sala, raffiguranti Attis Tristis nella posa stante dell’iconografia piùconsueta, ed Attis Danzante assolutamente raro nella statuaria. Nella vetrina 9 sono esposti anche alcuni strumenti musicali (cembali, campanelli) il cui suono era anch’esso in origine legato alle celebrazioni misteriche.
Le modalità di rinvenimento dei reperti relativi al culto di Attis e della Magna Mater, gettati con furia iconoclasta in un angolo di uno degli ambienti residenziali, successivamente murato, narrano la crudezza dell’avvento della nuova religione e la trasformazione della villa a seguito dei mutamenti sociali ed economici del tardo impero.
Tra la sala 3 e la sala 4, su una pedana, è esposta una esemplificazione di ceramica da cucina: una casseruola in ceramica a patina cinerognola, una pentola, olle e ciotole in ceramica comune usate tra il II ed il III sec. d.C. nelle cucine della villa, mostrano il perdurare, negli oggetti ed utensili di uso comune, di tipi, forme, materiali dettati dalla praticità dell’ uso e per questo motivo rimasti immutati per secoli, come la macina esposta sulla stessa pedana o i grandi dolia di diverse capacità di misura, molto simili alle giare della nostra non lontana tradizione contadina anche come metodi di risarcitura mediante grappe di piombo.
Totalmente legato al gusto antico è invece il glirario, contenitore per l’allevamento del ghiro, la cui carne era un cibo molto ricercato sulle tavole dei Romani.
SALA 4 – LA TRASFORMAZIONE DEL IV SEC. d.C.
Gli attrezzi agricoli esposti nella vetrina 10 richiamano il lavoro dei campi che era alla base dell’economia conseguente alla riforma dioclezianea.
La villa si trasforma in insediamento produttivo, mentre gli schiavi ed i liberti che nei secoli precedenti avevano vissuto e lavorato per il funzionamento della residenza per l’otium dei padroni, diventano contadini per la vita del latifondo.
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Il 20 novembre 284 d.C. l’esercito acclamò imperatore il dalmata Valerio Diocle: Diocleziano, le cui riforme segnarono in maniera indelebile la storia mondiale.
Diocleziano divise l’Impero in grandi unità regionali, le diocesi, formate da Province, e ricomprese anche l’Italia in questa nuova organizzazione, come Diocesi Italiciana, suddivisa in Italia Annonaria (settentrionale) sotto il Vicarius Italiae, e in Italia Suburbicaria (centro-meridionale) sotto il Vicarius Romae.
Per ognuna di queste grandi unità regionali fece calcolare il numero di coloni (hominum numerus), e l’estensione dei terreni, (agrorum modus).
Nel Catasto Diocleziano ad ogni testa di lavoratore-colono (caput) equivale una unità di superficie lavorabile (iugum).
Ai fini tributari, una unità di lavoratore-colono ad una unità imponibile fondiaria. Quindi un caput (inteso come unità imponibile fondiaria) è tanto più esteso, e tanto più grave la tassazione, quanto minore è la densità demografica.
Ciò comportò uno stretto legame dei coloni alla terra che furono costretti a servire sia per il nesso capitatio-iugatio, sia a titolo di colonato, perdendo la libertà (servi della gleba).
Cominciò quindi un lavoro intensivo dei campi, dove la plebs rusticana lavorava senza posa alla produzione di generi alimentari per l’Annona militaris e per l’Annona Civilis.
SALA 5- LA FINE DEL LATIFONDO ED IL PASSAGGIO ALL’ALTO MEDIOEVO
In questa nuova società prende piede la religione cristiana.
Fulcro dell’insediamento diventa l’edificio di culto che si impianta in uno dei cortili della villa. É un edificio importante, che riutilizza gli arredi architettonici (colonne, capitelli) delle fasi edilizie precedenti.
Al centro della sala è esposta la ricostruzione di un elemento decorativo di forma quadrangolare, formato da quattro lastre ad arco e sorretto da colonnine lisce con capitello cubico, databile all’VIII-IX sec. d.C. probabile ciborio di altare.
Per il lato posteriore è stata riutilizzata una lastra marmorea più antica, recante l’iscrizione HILARUS.
Vicino alle lastre ad arco si conserva una lampada in ferro porta lucerne.
Nella vetrina 11 sono esposti vari reperti, di epoche diverse, che illustrano i secoli di vita della chiesa: un frammento di scodella in ceramica sigillata africana con decorazione formata da una croce attorniata da cinque rosette con bottone rilevato, di V-VI sec. d.C., un analogo frammento con decorazione formata da una croce attorniata da 6 cerchietti, vetri con lettere dipinte, frammenti di vaso in ceramica forum-ware, ed il corredo di una delle tombe, rinvenute nell’edificio di culto, ed intorno ad esso, coeve a quelle della necropoli, impiantatasi negli ambienti ormai abbandonati della parte servile della villa, nel VI sec. d.C.
La lavorazione a cloisonnè della fibbia e del pendente che costituiscono il corredo insieme a 6 brocchette, introduce al mondo nuovo che le vicende storiche del trascorrere dal tardo-antico all’Alto medioevo hanno portato anche in questo luogo.
SALA 6- LA NECROPOLI DI VI-VII SEC. d.C.
Il mondo di cui è espressione la comunità che abita sul sito secoli prima occupato dalla villa, è una commistione tra romani, goti, longobardi, come testimonia la necropoli con sepolture plurime databile al VI-VII sec. d.C., nei cui corredi si esprimono le caratteristiche e le tradizioni dei tre popoli.
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Nel 476 d.C., con la deposizione di Romolo Augustolo ad opera di Odoacre re degli Eruli, ha fine l’Impero Romano di Occidente. Nel 493 il re ostrogoto Teodorico, Patricius romano, sconfigge ed uccide Odoacre, dando avvio alla dominazione gota in Italia, che durò indisturbata fino al 535 d.C. I Goti foederati dell’Impero non stravolsero l’impianto romano originario, ed amministrarono l’Italia nel rispetto della sistemazione territoriale precedente. La popolazione gota era tuttavia una minoranza e gli insediamenti, determinati da motivi strategici contro possibili minacce di Bisanzio che tendeva alla riunificazione dell’impero, sono essenzialmente di carattere militare e concentrati al nord e nelle regioni adriatiche.
Gli insediamenti di più lunga durata, ma molto meno conosciuti, sono quelli rurali, di Goti considerati “vicini et consortes” (vicini e compagni) dei Romani.
Gli insediamenti sfruttano precedenti edifici romani, che vengono parzialmente occupati, mentre le strutture abbandonate sono sistematicamente spogliate, le macerie livellate, e poi rinterrate per ottenere aree agricole e spazi per la stabulazione di animali domestici.
L’economia di questi insediamenti è diretta all’autoconsumo, con regimi di pura sussistenza.
Il regno Ostrogoto in Italia termina nel 553 d.C. con la morte del re Teia nella battaglia del Mons Lactarius presso Salerno al termine di una lunga guerra voluta da Bisanzio (il Bellum Gothicum) che preparò così le condizioni per l’invasione dei Longobardi.
Due giorni dopo la Pasqua del 568 d.C. Alboino partì con le sue genti alla volta dell’Italia, in cui dilagò poco dopo dalle valli del Natisone.
Il complesso periodo storico che seguì vide l’Italia divisa tra Ducati Longobardi e Province Bizantine dai confini approssimativi: a Nord la Longobardia Maior; al centro ed all’estremo Sud i domini bizantini dell’Esarcato di Ravenna; la Longobardia Minor (Ducato di Benevento) nelle Marche, Abruzzo, Sannio e poi in Campania.
I caratteri della fase altomedievale di Madonna del Piano con i corredi tombali e le suppellettili della chiesa sono la testimonianza delle vite parallele di domatori “barbari” e dominati autoctoni in un insediamento rurale ove i due popoli erano “vicini et consortes”, conservando però ben distinte anche se coesistenti le peculiarità e le differenze di cultura e di tradizione.
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Sono esposti in questa sala i corredi della Tomba 1 (vetrina 12) e della Tomba 2 (vetrina 13).
I corredi sono simili, formati da ollette, brocchette trilobate, fibbie, orecchini.
Nella tomba 1 si nota una borraccia o eulogia, del tipo portato dai pellegrini, un calice in vetro, un pettine in osso.
Nella tomba 2 (vetrina centrale) tra le brocchette trilobate si distinguono quelle con linee ondulate incise sulle spalle, e tra le ollette quelle con tracce di esposizione al fuoco, segno che gli oggetti di corredo erano scelti tra quelli che avevano accompagnato il defunto durante le quotidiane attività della vita. Si notano inoltre una brocchetta ed una ampollina in vetro con corpo sferoide, orecchini in argento, orecchini in oro con granulazione perlinata.
SALA 7- LA NECROPOLI DI VI-VII SEC. d.C.
Sezione antropologica
Lo studio tipologico e stilistico degli oggetti dei corredi tombali e gli studi di antropologia fisica effettuati sui reperti scheletrici ci consentono dunque di conoscere negli usi quotidiani e nei particolari dell’abbigliamento gli uomini e le donne che vissero nell’area nei secoli VI e VII dell’era cristiana…
Nella vetrina 14 il corredo della Tomba 4 presenta, oltre a sette brocchette di tradizione tardo romana come tutta la restante produzione ceramica, anche una fibbia circolare, fibbie a scudetto, fibbie a volutine. La tipologia dei metalli, pertinente alla produzione ostrogota e longobarda, è completata con oggetti provenienti da altre tombe, come un bracciale in bronzo dalla tomba 3 ed una serie di orecchini, semplici e con pendente, oltre ad un anellino in bronzo, un anello di sospensione, uno spillone in bronzo.
Nella vetrina 15 il corredo della Tomba 8 comprende, oltre ad olle, attingitoi, ed un orciolo, anche un pettine in osso, una fibbia con ardiglione, un balsamario in vetro e 6 placchette lavorate di guarnizione di un cinturone in bronzo.
L’esame antropologico conferma ed integra i dati desumibili dai corredi, testimoniando una presenza autoctona rappresentata dagli individui di sesso femminile e da alcuni di sesso maschile, ed una presenza di individui (di sesso maschile) con caratteristiche antropologiche analoghe a quelle tipiche di Ostrogoti e Longobardi.
La vita fu breve per tutti, con una forte incidenza di mortalità infantile e femminile. Le patologie riscontrabili dagli esami antropologici sono approfondite nell’aula didattica,ove è esposta anche una ricostruzione virtuale dei volti. Ignote sono invece, almeno per ora,le cause della morte.
Al centro della sala viene proposta la ricostruzione, a soli fini didattici, di una tomba, con deposizione singola.
SALA 8- IL MONETIERE
Sezione numismatica
Le monete rinvenute nei siti archeologici del territorio e nell’insediamento di Casale di Madonna del Piano costituiscono una piccola sezione numismatica, interessante soprattutto per il periodo tardo-imperiale, dalla tetrarchia al VI secolo d.C.
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Nella fase finale dell’impero la produzione monetaria, a causa di persistenti fenomeni inflazionistici, si fa numericamente sempre più consistente con grande impegno di tutte le zecche.
La gravità della situazione aveva già spinto Aureliano, nel 274 d.C., a tentare una riforma del sistema aumentando il peso dell’unica moneta stabile, l’aureo (6,54 g), senza toccare l’antoniniano, nominale ridotto ad un dischetto di rame bagnato in argento.
Diodceziano fu costretto, venti anni dopo, ad un nuovo intervento che ignorò di fatto le monete in metallo vile condannandole ad un continuo progressivo degrado ed interessandosi solamente dell’aureo (stabilizzato a 5,45 g). L’antoniniano venne sostituito dal follis, una moneta di bronzo rivestita, e fu anche prodotto il denarius argenteus (3,41 g) equivalente al vecchio denario neroniano.
Questi interventi non ottennero mai i risultati sperati e nulla fu ottenuto con l’imposizione autoritaria dei prezzi, che Diocleziano tentò con il suo Edictum de pretiis. I risultati reali furono la tesaurizzazione degli aurei e degli “argentei” e una forte ascesa dei prezzi, mentre tutti gli altri nominali, compreso il follis, continuarono la loro corsa verso la svalutazione.
Nel 324 d.C. Costantino si limitò a rinforzare la sola moneta aurea, il solidus (4,54 g), pur mantenendo la moneta d’argento, che ora si chiama siliqua, pari all’argenteus dioclezianeo.
La produzione in quantità enormi di altri nominali (pecunia maiorina, centennionalis-nummus) in bronzo, nel corso del IV e V secolo. non servì nè a sanare ma neanche ad evitare un peggioramento generale del quadro monetario.
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Di questo periodo è anche un tesoretto, dal territorio, conservato nel Medagliere del Museo Nazionale Romano.
Nella vetrina 16 sono esposte le monete di età repubblicana della zecca di Roma, provenienti da Colle della Pece; la moneta di età adrianea dal praedium di Colle della Selvotta; le monete dalla tetrarchia al VI sec. d.C. dall’edificio di culto di Casale di Madonna del Piano.
ORARIO DI APERTURA MUSEO
Lunedì CHIUSO
Martedì 08,00 – 14,00
Mercoledì 08,00 – 14,00 15,00 – 18,00
Giovedì 08,00 – 14,00
Venerdì 08,00 – 14,00 15,00 – 18,00
Sabato 10,00 – 12,00 16,00 – 20,00
Domenica Su richiesta per gruppi di almeno 5 persone
Costo del biglietto:
INTERO € 2,60;
RIDOTTO € 1,00
(Bambini, ultra sessantenni, portatori di handicap).
Per Informazioni:
Tel. 0775-686829
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